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ALFA ROMEO **I MODELLI** dal 1910 ai giorni nostri

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Vecchio 07-02-2009, 22.03.19
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Predefinito Alfa Romeo Alfetta 1972-1984

Alfa Romeo Alfetta
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Costruttore: Alfa Romeo
Descrizione generale
Tipo Berlina

Inizio produzione 1972

Sostituisce la: Alfa Romeo 1750

Fine produzione 1984

Sostituita da: Alfa Romeo 90

Esemplari prodotti circa 450.000
Altre caratteristiche
Dimensioni e pesi
Lunghezza da 4.280 a 4.385 mm

Larghezza da 1.620 a 1.640 mm
Altezza 1.430 mm
Passo passo mm
Peso da 1.060 a 1.120 kg

Altro
Altre versioni Coupé

Assemblaggio: Arese (MI)

Progetto
Design Giuseppe Scarnati

Altre antenate
Altre eredi Alfa 90
Della stessa famiglia Alfa Romeo Giulietta (nuova 1977-1985)
Alfa Romeo Alfetta GT

Concorrenti
Audi 100
BMW 320
Fiat 132
Lancia Beta
Peugeot 504
Rover 2000 TC
Saab 900

L'Alfetta è una berlina sportiva, di classe medio-alta, prodotta tra il 1972 e il 1984 dalla casa milanese Alfa Romeo nello stabilimento di Arese.
Il contesto
L'Alfetta (progetto n.116) fu la figlia legittima della confusione marketing che regnava all'Alfa Romeo nel 1969. La rivoluzione culturale di quel decennio aveva modificato il "modus vivendi" della società italiana (e non solo), intaccando persino i gusti personali. Di fatto, in Alfa, dubitavano che le sagome delle loro "1750" e "Giulia" avrebbero retto l'impatto geometrico di quegli anni, ma neppure si voleva scontentare la clientela tradizionale. In un primo tempo si decise di rinnovare la "1750" con aggiornamenti estetici ed una nuova motorizzazione più "europea" che, nel 1971, veniva presentata con la denominazione "2000". Nello stesso anno si dette anche il via alla realizzazione del progetto "116", accantonato l'anno precedente.
Fangio sull'Alfa Romeo 159 "Alfetta" a Monza nel 1951
Il Centro Stile Alfa, guidato da Giuseppe Scarnati, preparò così una vettura intermedia tra la "2000" e la "Giulia", pronta a sostituire il primo modello che avesse perso troppo terreno sul mercato. Linee tese e spigolose e una particolare attenzione allo spazio interno, per vestire uno schema tradizionale e prestigioso da berlina sportiva, settore in cui le Alfa Romeo, all'epoca, erano considerate il "non plus ultra".
Per dovere di cronaca, occorre anche citare il marginale ed estemporaneo contributo di Giorgetto Giugiaro che, incaricato nel 1968 di progettare la nuova Alfa coupé, stava terminando gli esecutivi di quella che sarebbe poi diventata l'Alfetta GT.
Al fine di tranquillizzare la clientela circa l'abbandono dello schema tradizionale per il moderno "transaxle", si fece ricorso alla citazione delle glorie sportive Alfa Romeo scegliendo il nome di Alfetta e così ufficializzando l'affettuoso nomignolo con cui i tifosi avevano soprannominato le Alfa Romeo 158 e 159 da Formula 1 che vinsero il campionato mondiale nel 1950 e 1951 con Nino Farina e Juan Manuel Fangio.
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Predefinito l'Alfetta e le sue origini

Il nuovo modello si dimostrò subito ottimo, sia per estetica che per prestazioni, ma le previste polemiche infuriarono ugualmente, dividendo gli "alfisti" nella fazioni "modernista" e "tradizionalista". Infatti, pur guadagnando enormemente in tenuta e stabilità, a causa dei più complessi leveraggi di comando del cambio, l'Alfetta aveva perduto parzialmente la proverbiale dolcezza d'innesto dei rapporti, rispetto ai modelli precedenti.
Senza riuscire a prendere una posizione, l'azienda cercò di accontentare entrambe, lasciando in produzione la "2000" fino al 1976 e la "Giulia" fino al 1978. Ragion per cui, l'Alfetta venne prima ostacolata dalla concorrenza interna e, arrivato il momento di spiccare il volo, era ormai un'automobile "anziana" per gli standard tecnologici che un pubblico dal palato fine come gli "alfisti" si aspettava da un'Alfa Romeo. Questo atteggiamento irresoluto tra passato e futuro, fu una delle principali cause della crisi che affossò l'azienda nel decennio successivo e la portò, ormai esangue, nel orbita del grupp Fiat.
Presentata nel 1972 per sostituire la 1750, un'evoluzione stilistica e meccanica della Giulia, l'Alfetta fu senza dubbio una delle Alfa Romeo più innovative del dopoguerra. Essa infatti pur rispondendo a tutti i canoni tipici del marchio segnava senza dubbio una forte rottura con i modelli precedenti. Il modello rimase sul mercato fino al 1984 quando venne sostituita dalla Alfa Romeo 90 Nel tentativo di dare alla nuova autovettura un aspetto che rispecchiasse l'innovazione che essa andava ad introdurre nel campo tecnico la scelta cadde su una linea tutta nuova e che segnò un punto di rottura con lo stile di tutti i modelli precedenti ma che avrebbe ispirato a lungo l'evoluzione della gamma della casa del Portello nonostante non fosse innovativa, apprezzata ed efficiente quanto quella della Giulia.
La linea dell'Alfetta, opera del Centro Stile Alfa Romeo, era abbastanza squadrata e spoglia di venature e pieghe, moderna per l'epoca ma un po’ troppo anonima se non fosse per il frontale tipicamente Alfa Romeo con i doppi fari tondi in cornici cromate e lo scudetto in posizione centrale. Guardavano alla tradizione i paraurti a lama in acciaio inox, le tre barre cromate sulla calandra e le maniglie delle portiere. Così se la parte anteriore era bassa, raccolta e relativamente slanciata la parte posteriore presentava la novità più evidente: La coda alta che oltre a garantire vantaggi sul piano aerodinamico offriva una capacità di carico quasi da record per la categoria.
All'interno non ci si era discostati dalla tradizionale formula Alfa Romeo. La plancia con la didascalia “Alfetta” in corsivo e gli inserti tipo legno era completata da un quadro strumenti completo e soprattutto molto leggibile che comprendeva oltre al tachimetro e al contagiri gli indicatori di livello carburante, temperatura acqua e pressione lubrificante oltre a una completa dotazione di spie.
Il posto guida, ben realizzato, favoriva la guida a braccia distese e prevedeva anche la regolazione in altezza del volante. L'abitacolo era nel complesso molto accogliente e spazioso; l'assenza del cambio all'uscita del motore infatti aveva permesso di snellire abbastanza la parte anteriore del tunnel centrale tanto da dare un'incredibile sensazione di spazio ai posti anteriori. Quelli posteriori pur disponendo invece di molto spazio in senso longitudinale erano inficiati dall'ingombrante presenza del cambio posteriore che aveva costretto i progettisti dell'Alfa Romeo a gonfiare il tunnel centrale tanto da compromettere il comfort del passeggero posteriore seduto al centro.
Il portabagagli seppur di generosissime dimensioni non era sfruttabile a pieno per via della molto alta soglia di carico che poteva costringere a fastidiosi sollevamenti e tendeva ad aumentare il pericolo di danneggiare la carrozzeria negli usi più intensi. Sotto il piano di carico trovavano posto la ruota di scorta e il serbatoio carburante di 50 litri. L'ampia vetratura garantiva una buona visuale in ogni direzione e solo in retromarcia la spiovente coda necessitava di una buona dose di pratica prima di poterne valutare correttamente l'ingombro. La dotazione, seppur non eccezionale, era buona per l'epoca e sarebbe stata arricchita con il passare delle generazioni sino ad arrivare alla fin troppo ricca ed elaborata Quadrifoglio oro del 1983.
Quello che lasciava a desiderare, come spesso era accaduto nella storia dell'Alfa, erano le finiture, solo approssimative e non di rado piene di difetti di lavorazione e di materiali di scarsa qualità. Ma gli Alfisti veri non compravano certo le loro macchine per sfoggiare la cura costruttiva di sedili e guarnizioni, quello che contava maggiormente erano le prestazioni e infatti la parte del leone era, secondo la tradizione, riservata alla raffinata meccanica.
La meccanica [modifica]
Il classico bialbero Alfa Romeo di 1779 cm³ derivava direttamente da quello della 1750 modificato nella forma dei collettori di scarico e della coppa dell'olio per permettere di elevarne la potenza a 122 CV DIN ed aveva caratteristiche tecniche in parte non ancora completamente diffuse oggi tra i propulsori moderni.
Costruito completamente in lega di alluminio aveva le canne dei cilindri di ghisa riportate e sfilabili. I due alberi a camme in testa mossi da una doppia catena silenziosa anteriore che garantiva un eccellente affidabilità e durata, azionavano direttamente le valvole attraverso i bicchierini in bagno d'olio ad essi interposti, il che se da un lato rispondeva a esigenze di affidabilità e sportività, dall'altro rendeva la regolazione del gioco un'operazione più complessa, anche se meno frequente. Le due valvole erano inclinate a 80° per formare una camera di combustione emisferica ad alto rendimento, e quelle di scarico erano raffreddate dalla presenza nello stelo di sodio che ne diminuiva la temperatura durante l'uso passando dallo stato solido a quello liquido e garantendo così una più lunga durata delle stesse.


Alfetta 2.0 L del 1978
Il tutto era raffreddato dal liquido contenuto nel circuito sigillato provvisto di radiatore con la ventola per la prima volta mossa da motore elettrico azionato da un interruttore termostatico, anziché direttamente dal motore come sulla 1750. L'alimentazione era assicurata da due carburatori orizzontali doppio corpo Weber 40 DCOE/32 riforniti di carburante dalla pompa meccanica. Vennero allestite anche vetture destinate al mercato d'oltreoceano provviste di iniezione meccanica Spica.
La novità vera fu l'inedito posizionamento del cambio a 5 marce al retrotreno in blocco con differenziale e frizione azionata idraulicamente (soluzione sostenuta da Giuseppe Busso) . Tutto questo in vista di un pressoché perfetta distribuzione dei pesi che migliorasse il comportamento stradale secondo l'esperienza maturata con i modelli da corsa "158" e "159". Ma inedito era anche lo schema delle sospensioni posteriori che adottavano per la prima volta su una vettura stradale della Casa un raffinato ponte De Dion costituito da un traliccio di tubi d'acciaio triangolare con il vertice imperniato anteriormente che mirava alla riduzione delle masse non sospese in modo da garantire una maggiore motricità alle ruote posteriori. A tale scopo i freni a disco posteriori vennero spostati dalle ruote alla flangia dei semiassi sul differenziale. Su vetture di serie, fino ad allora, tali soluzioni tecniche erano state riservate a modelli di classe elevata come la Lancia Aurelia degli anni 50 della quale l'Alfetta riprende il sofisticato schema tecnico "transaxle".
Le sospensioni anteriori indipendenti seguivano lo schema a bracci trasversali oscillanti e usavano come elementi elastici delle barre di torsione. Il tutto era completato da ammortizzatori idraulici e barre stabilizzatrici sia sull'avantreno che sul retrotreno. I freni erano tutti a disco con comando idraulico a doppio circuito, servofreno a depressione e limitatore di frenata sul retrotreno. Il freno a mano agiva sulle ruote posteriori.
Comportamento su strada
Alfetta 2000 LI America del 1980
Il comportamento su strada dell'Alfetta continuava la tradizione della casa con doti dinamiche sportiveggianti. La tenuta di strada era eccellente anche se caratterizzata da un certo rollio. Il comportamento in curva era fondamentalmente neutro anche alle alte velocità, proprio in virtù della perfetta distribuzione dei pesi. Se portata al limite l'Alfetta presentava un sensibile sottosterzo iniziale che ne rendeva la guida facile anche a piloti non troppo esperti. Solo esagerando con l'acceleratore o nelle curve molto strette, dove si sentiva il bisogno di un differenziale autobloccante, il retrotreno poteva riservare qualche sorpresa. Il motore, pur avendo guadagnato 4 CV rispetto alla versione montata sulla 1750 si dimostrò molto grintoso agli alti e particolarmente elastico ai bassi e medi regimi, permettendo sia una guida sportiva che una rilassata con un occhio al comfort e ai consumi.
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Predefinito l'Alfa Romeo Afetta nei suoi dettagli

Nelle prove su strada dello stesso anno l'Alfetta si dimostrò capace di raggiungere i 184 km/h di velocità massima e con un'accelerazione 0-100 km/h in 9,8 sec. si posizionò ai vertici della sua categoria. Il suo tallone d'Achille stava invece nelle caratteristiche del cambio che poco si addicevano al tipo di auto. Esso era infatti caratterizzato da una manovrabilità lenta e imprecisa specialmente in scalata per le prime due marce, dovute ai vari rinvii di comando piuttosto che al disegno degli organi meccanici, molto simile al lodatissimo cambio della serie Giulia. Il posizionamento, poi, faceva sì che la carrozzeria amplificasse la rumorosità degli ingranaggi. Anche la frizione non era esente da critiche per il suo brusco innesto, mentre i giunti in gomma dell'albero di trasmissione hanno sempre sofferto di breve vita, nonostante le numerose modifiche a cui furono sottoposti nell'arco della produzione. L'impianto frenante aveva un'ottima potenza, una buona modulabilità ed era insensibile alla fatica anche se era caratterizzato da una certa durezza di azionamento, che piaceva agli alfisti appassionati perché permetteva di dosare con precisione la pressione sul pedale. Lo sterzo, per la prima volta a cremagliera su un'Alfa, era molto preciso e pronto.
L'evoluzione della gamma
Nel 1975, in piena crisi petrolifera, venne presentata la versione semplificata dell'Alfetta, che come prevedibile montava un motore con cilindrata ridotta a 1600 cm³ e potenza di 109 CV. Il nuovo propulsore deriva direttamente dalla versione già montata sulla serie Giulia (nella versione più potente, utilizzata fino al 1974 su GT e Spider): rispetto al propulsore di 1800 cm³ risultano ridotti sia l'alesaggio (78 mm) che la corsa (82 mm). Esternamente la vettura era facilmente distinguibile per la presenza di una sola coppia di fari sul frontale mentre per il resto, seppur dotata di allestimento più economico, era abbastanza simile alla sorella maggiore. Il comportamento su strada delle due vetture era molto simile. A risentire della diminuzione di potenza erano soprattutto le doti di ripresa da bassa velocità nelle marce più alte. Il presunto beneficio in termini di consumo invece veniva vanificato dalla necessità di mantenere regimi elevati per ottenere un comportamento brillante.
Versione Anni di produzione Esemplari
Alfetta dal 1972 al 1974 104.454
Alfetta (guida a dx) dal 1972 al 1978 2.011
Alfetta 1.8 dal 1975 al 1983 67.738
Alfetta 1.6 dal 1975 al 1983 77.103
Alfetta 2000 dal 1976 al 1977 34.733
Alfetta 2000 (guida a dx) nel 1977 1.450
Alfetta 2000 L dal 1978 al 1981 60.097
Alfetta 2.0 dal 1981 al 1984 48.750
Alfetta 2000 LI America dal 1978 al 1981 1.000
Alfetta 2000 Turbodiesel dal 1979 al 1984 23.530
Alfetta Quadrifoglio Oro dal 1982 al 1984 19.340
Alfetta CEM nel 1983 991
Alfetta 2.4 Turbo Diesel dal 1983 al 1984 7.220
Totale
N.B.ati calcolati non ufficiali 448.417
Contemporaneamente l'Alfetta 1.8 subì qualche lieve ritocco estetico facilmente individuabile nello scudetto Alfa ora più largo. Il suo motore invece subì una riduzione di potenza che lo riportò a 118 CV. Nel 1977, al salone di Ginevra, viene presentata l' Alfetta 2000. La versione due litri porta molte novità. Per iniziare essa è facilmente distinguibile dalle sorelle minori per il frontale ridisegnato che ora oltre a essere più basso e più lungo di ben 10 cm presenta due fari rettangolari. I paraurti sono sempre in acciaio inox ma hanno ora gli angoli in materiale plastico e incorporano inserti in poliuretano e anteriormente anche gli indicatori di direzione. I finestrini anteriori perdono il deflettore e i gruppi ottici posteriori sono maggiorati. All'interno spicca subito la nuova plancia tutta di materiale plastico e il volante di nuovo disegno. Nel complesso la linea appare più moderna anche se più anonima e meno sportiva. Il motore deriva direttamente dalla versione 1800 cm³ di cui mantiene anche l'originaria potenza di 122 CV. L'aumento di cilindrata viene ottenuta aumentando l'alesaggio a 84 mm ma mantenendo invariata la corsa di 88,4 mm. Viene migliorata l'insonorizzazione delle parti meccaniche e le sospensioni sono maggiormente votate al comfort. Nel frattempo le versioni 1.6 e 1.8 vengono unificate negli allestimenti e nell'aspetto. Nel 1978 la 2000 diventa “Lusso” grazie a finiture più accurate e il motore viene potenziato a 130 CV. Con l'Alfetta 2.0 turbodiesel nasce nel 1979 la prima vettura italiana sovralimentata a gasolio. Esternamente distinguibile dalla versione a benzina solo per le feritoie di aerazione sui paraurti anteriori questa vettura è spinta da un motore costruito dalla italiana VM Motori che fornisce 82 CV e spinge la vettura ad oltre 155 km/h, facendone la 2000 diesel più veloce all'epoca in produzione. L'aumento di peso dovuto al nuovo propulsore impone un irrigidimento delle sospensioni e una maggiore demoltiplicazione dello sterzo. Anche i rapporti del cambio vengono adeguati. Nello stesso anno la versione 1.8 riacquista gli originari 122 CV di potenza massima ora a 5300 giri/min. anziché a 5500 giri/min.
Nel novembre 1981 tutta la gamma viene unificata usando per tutte le motorizzazioni la rinnovata scocca della 2000 aggiornata in vari dettagli estetici quali le fasce paracolpi laterali e le fasce sottoporta in plastica nera. Meccanicamente le modifiche maggiori le subiscono il cambio con i rapporti allungati e le sospensioni ora più morbide e votate completamente al comfort. A risentirne maggiormente fu il comportamento sportivo della vettura. I potenti motori della 2.0 e della 1.8 avevano perso la loro grinta acquistando però notevole elasticità e progressività. Le prestazioni rimanevano comunque elevate. Il comportamento stradale perse la sua agilità da sportiva e l'inserimento in curva divenne molto lento e notevolmente sottosterzante senza però mai perdere la sua proverbiale tenuta di strada.


Nel 1982 venne presentata l'Alfetta Quadrifoglio, esternamente riconoscibile per i doppi proiettori circolari.
Da menzionare anche una versione semi-sperimentale denominata CEM (Controllo Elettronico del Motore); sviluppata, nel 1981, in collaborazione con l'Università di Genova, venne realizzata in 10 esemplari derivati dal modello "2.0", con funzionamento modulare (due o quattro cilindri) del motore a seconda delle necessità d'impiego, con il fine di ridurre i consumi. Le auto vennero affidate a taxisti milanesi, per verificarne il funzionamento e le prestazioni in situazioni di utilizzo reale. Terminata la prima sperimentazione, nel 1983, venne prodotta una piccola serie di 991 esemplari CEM, privi di funzionamento modulare, che furono affidati ad una clientela selezionata. Nonostante questa seconda fase sperimentale, il progetto non ebbe ulteriori sviluppi.
Nel 1983 tutta la gamma subì l'ultimo lifting a base di fasce paracolpi laterali molto estese, cornice plastica dei fanali posteriori e colorazione scura di molte parti della carrozzeria quali i montanti anteriori del tetto che ne resero l'aspetto otticamente pesante e fin troppo elaborato.
Anche l'Alfetta "Quadrifoglio Oro" venne aggiornata con l'aggiunta di uno spoiler anteriore, di sedili posteriori con poggiatesta integrato e un nuovo quadro strumenti dalla grafica poco chiara affiancato alla destra da un quadro ausiliario fornito di check control e di un orologio digitale. Il motore venne dotato di accensione e alimentazione a controllo elettronico Bosch Motronic e per la prima volta su un'automobile di serie anche di variatore di fase sull'albero a camme del lato aspirazione.
Alla versione 2.0 turbodiesel ne venne affiancata una con motore, sempre VM ma a 5 cilindri, con 2400 cm³ e 95 CV. Dopo essere stata venduta in quasi mezzo milione di esemplari ed essere stata la berlina 2000 più venduta in Italia, le vendite delle ultime versioni calarono drasticamente sancendo l'uscita di scena definitiva dell'Alfetta nel 1984. Il suo pianale e la meccanica tuttavia ebbero una vita lunghissima che si protrasse con l'Alfa 75 sino alla prima metà degli anni ’90 e diedero vita a una moltitudine di modelli tutti molto apprezzati per le doti dinamiche.
Per completezza d'informazione, si ricorda che la linea dell'Alfetta viene adottata, dal 1974, anche per la brasiliana FNM - Alfa Romeo 2300, ma si tratta di una mera somiglianza estetica, essendo la "2300" molto diversa per dimensioni (41 cm più lunga e 7 cm più larga) e, soprattutto, per l'impostazione tecnica che derivava dal modello "1900".
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Caratteristiche tecniche Alfa Romeo Alfetta 1.8 del 1972
Motore
4 cilindri in linea ciclo Otto in lega leggera

Cilindrata
1.779 cc (Alesaggio x corsa = 80 x 88,5 mm)

Distribuzione
A 2V, doppio albero a cammes in testa e doppia catena
Potenza max
122 CV (90 kW) a 5500 rpm

Coppia max 17 mkg DIN (167 Nm) a 4400 giri/min

Frizione
posteriore all'entrata del cambio, monodisco a secco con comando idraulico
Cambio
Posteriore in blocco coi freni a 5 rapporti + RM
Trasmissione Posteriore ad albero in due sezioni con ponte De Dion
Scocca Metallica autoportante a struttura progressivamente differenziata
Sospensioni ant. Indipendenti, bracci trasversali oscillanti, barre di torsione longitudinali, barra antirollio, ammortizzatori idraulici telescopici

Sospensioni post. Molle elicoidali a flessibilità variabile, bracci longitudinali di spinta e reazione, parallelogramma di Watt trasversale, barra antirollio, ammortizzatori idraulici telescopici
Impianto frenante
A disco con doppio circuito sulle 4 ruote, comando idraulico, servofreno a depressione e limitatore di frenata al retrotreno, freno a mano posteriore
Pneumatici
165 SR 14 (dall'82 optional 185/70 HR 14)
Lunghezza 4.280 mm

Larghezza 1.620 mm
Altezza 1.430 mm
Passo 2.510 mm
Peso a vuoto 1.060 kg

Serbatoio 49 litri
Accelerazione
31,8 secondi sul km da fermo
Velocità massima 180 km/h
Consumo a 90 km/h: 6,7 - a 120 km/h: 8,9 - urbano: 12,0 lt/100 km)
Oltre la berlina
Dal modello base berlina, utilizzandone il pianale e varie parti meccaniche, nacquero altri modelli più sportivi in conformazione classica di coupé quali la Alfetta GT e la successiva Alfetta GTV.
L'Alfetta nell'immaginario collettivo
Già dall'anno successivo alla sua presentazione, l'Alfetta fu il modello più acquistato dalle forze di Polizia e dai Carabinieri, divenendo in breve tempo l'automobile-simbolo delle forze dell'ordine italiane e sostituendo gradatamente le mitiche "pantere" e "gazzelle" su base Giulia Super, in dotazione negli anni '60.
Sono innumerevoli le pellicole cinematografiche poliziesche e poliziottesche dell'epoca dove è spesso protagonista di spericolati inseguimenti.
Molto utilizzata anche dall'establishment politico, la troviamo spesso in filmati giornalistici o telefoto che immortalano l'Alfetta accanto ai più importanti personaggi del tempo.
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Predefinito Alfa Romeo Alfetta da omniauto 1a parte

L’Alfa Romeo Alfetta, considerata a ragione uno dei simboli dell’automobilismo italiano degli anni Settanta, nasce nel 1972, immediatamente dopo la “sorella” minore Alfasud. Nella gamma Alfa Romeo si va a posizionare tra la Giulia e la 2000 e sostituisce la 1750. L’Alfetta, che eredita il nome dalla celebre monoposto “Alfetta 159”, protagonista indiscussa delle competizioni negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale, si presenta da subito come un modello fortemente innovativo, nella meccanica e nello stile. Classica berlina a trazione posteriore, a quattro porte e cinque posti, l’Alfetta è equipaggiata inizialmente con un unico motore, il 1800 bialbero (1779 cc), da 122 CV a 5500 giri/minuto, ereditato dalla 1750 ed abbinato ad un cambio manuale a cinque marce montato posteriormente, che garantisce un’eccellente distribuzione dei pesi. Le sospensioni anteriori sono a quadrilatero deformabile con barre di torsione, mentre le posteriori, ereditate dalla 159, sono caratterizzate dall’originale ponte De Dion, con barra stabilizzatrice ed ammortizzatori idraulici telescopici, che caratterizzerà l’intera produzione Alfa Romeo (ad eccezione dell’Alfasud e delle sue derivate) fino al debutto della 164, alla fine degli anni Ottanta. I freni sono a disco a doppio circuito con servofreno e limitatore automatico di frenata al retrotreno, lo sterzo è a cremagliera; il serbatoio carburante ha una capacità di 46 litri.La linea dell’Alfetta, realizzata dal Centro Stile Alfa Romeo con la collaborazione di Giugiaro (il design della coda e della linea di cintura sono suoi), è compatta e moderna, con uno spiccato andamento a cuneo, che le permette di ottenere un CX di 0,42. Nel frontale fa bella mostra di sé la mascherina in plastica nera con tre barre orizzontali cromate, che ospita al centro il marchio Alfa Romeo ed ai lati le due coppie di fari allo iodio. I paraurti anteriori, a lama con rostri gommati, ospitano le luci di posizione e gli indicatori di direzione. Il cofano motore è sormontato da due prese d’aria poste alla base del parabrezza. Nella vista di lato si notano le lamiere sottostanti portiere e paraurti posteriore verniciate di nero ed un occhio attento può cogliere il particolare dei finestrini laterali curvi, caratteristica inedita per un modello Alfa Romeo; le portiere anteriori sono dotate di deflettori apribili a compasso e nei montanti posteriori sono state ricavate due prese d’aria cromate. La parte posteriore è caratterizzata infine dai gruppi ottici a sviluppo orizzontale, divisi in tre sezioni, e dai paraurti a lama con rostri gommati, che rivestono anche parte della fiancata fino a raggiungere i parafanghi posteriori.L’abitacolo, un po’ trascurato dal punto di vista delle finiture, è decisamente più ampio ed abitabile rispetto a quello della 1750, anche se si sta più comodi in quattro, dato che il quinto passeggero è disturbato dal tunnel di trasmissione e dal bracciolo centrale posteriore. La plancia, caratterizzata da un disegno pulito, lineare e moderno, è impreziosita da inserti in legno, materiale con cui è realizzato anche il volante regolabile in altezza ed inclinazione. La strumentazione, raccolta nel grande quadro posto di fronte al pilota, è composta da cinque strumenti circolari: contagiri con manometro olio, tachimetro con contachilometri totale e parziale, indicatore livello benzina, orologio, termometro acqua. Completo e raffinato l’impianto di climatizzazione, che può contare su numerose bocchette e sulla possibilità di regolare separatamente i flussi d’aria e la temperatura dei due lati dell’abitacolo. Sono disponibili, come optional, le cinture di sicurezza anteriori, la vernice metallizzata, i poggiatesta anteriori ed il lunotto termico. Il vano bagagli, grazie alla coda alta ed alla disposizione orizzontale della ruota di scorta, raggiunge la ragguardevole capacità di 510 litri.L’Alfetta ottiene giudizi lusinghieri su strada, grazie alle eccellenti prestazioni (velocità massima di 180 Km/h, accelerazione da 0 a 100 Km/h in 9,8 secondi), all’ottima tenuta di strada ed al comfort di marcia. Generano critiche invece la visibilità posteriore, resa difficoltosa in manovra dalla coda alta, ed il cambio, che tende ad impuntarsi. Si rivela accettabile invece il consumo di benzina (11,5 litri / 100 Km).Pochi mesi dopo la presentazione dell’Alfetta, nel 1973, l’Italia si trova a dover fronteggiare la crisi petrolifera, con il conseguente aumento del prezzo della benzina, le domeniche a piedi o a targhe alterne (leggendo i giornali di oggi verrebbe da dire che la storia si ripete, ma questa è un’altra storia...), ed infine l’introduzione dei limiti di velocità. Se prima della crisi petrolifera gli italiani, nel giudicare un’automobile, davano peso soprattutto alle prestazioni ed al motore, ora sono più interessati ai consumi ed al prezzo d’acquisto e di conseguenza l’Alfa Romeo, nella speranza di incrementare le vendite, presenta nel Gennaio del 1975 la 1600. L’Alfetta 1600 è mossa da un motore di 1570 cc, anche questo già noto agli alfisti, caratterizzato da una potenza massima di 109 CV a 5600 giri/minuto e da una coppia massima di 142 Nm a 4300 giri/minuto. Le prestazioni rimangono accettabili, con una velocità massima di 175 Km/h, ma se i consumi scendono in media del 6-7 %, peggiorano accelerazione e ripresa. Più economica della 1800 anche nella dotazione di accessori, la 1600 si distingue dalla sorella maggiore per numerosi particolari di carrozzeria e dell’abitacolo. Il principale elemento di distinzione è costituito dai due soli fari anteriori, a cui si aggiungono tanti altri dettagli, come la calandra con una sola barra cromata, le prese d’aria sui montanti posteriori in plastica nera, i tergicristallo neri, i paraurti privi di rostri gommati. L’abitacolo perde i rivestimenti in legno di plancia e volante, il bagagliaio è rivestito con materiali più economici, la console centrale è semplificata così come l’impianto di climatizzazione, l’orologio è disponibile solo a richiesta, ma in compenso la strumentazione presenta un inedito sfondo azzurro.Dopo poche settimane anche la 1800 è oggetto d’un leggero restyling, che interessa il frontale ed alcuni dettagli degli interni. Il modello 1975 è riconoscibile grazie alla nuova calandra, che perde i tre profili cromati ed ospita uno scudetto Alfa Romeo più grande, ed all’adozione di tergicristallo neri, come sulla 1600. Per contenere le emissioni inquinanti, il motore della 1800 è depotenziato fino a raggiungere i 118 CV.Ultima novità del 1975 è l’Alfetta destinata al solo mercato statunitense ed equipaggiata con un motore ad iniezione meccanica Spica, di 1962 cc, che le permette di raggiungere i 175 Km/h. Dotata dei dispositivi antinquinamento e d’illuminazione previsti dalla legislazione americana, questa versione è facilmente riconoscibile per l’adozione dello specchietto retrovisore esterno, di inedite luci targa e di paraurti ad assorbimento d’energia in materiale plastico nero.La commercializzazione dell’Alfetta 1600 dà i frutti sperati, le vendite aumentano e l’allontanasi della crisi petrolifera permette all’Alfa Romeo di ampliare la gamma verso l’alto. Nel Febbraio 1977 debutta così l’Alfetta 2000, che sostituisce l’Alfa Romeo 2000 berlina. La nuova versione costituisce di fatto la seconda serie dell’Alfetta, tante e tali sono le modifiche apportate alla carrozzeria ed all’abitacolo. Le versioni 1600 e 1800 sono tuttavia escluse da un tale rinnovamento, ad eccezione dell’adozione di lievi modifiche alla strumentazione e, nella 1600, dei doppi fari anteriori. L’Alfetta 2000 è mossa dal motore bialbero di 1962 cc con alimentazione a carburatori; la potenza massima è di 122 CV a 5300 giri/minuto, mentre la coppia massima è di 175,5 Nm a 4000 giri/minuto; la velocità massima è di 185 Km/h, a fronte di un consumo medio di 10,1 litri/100 Km. Il motore più elastico e progressivo del 1800, e la nuova taratura delle sospensioni rendono ancora più piacevole la guida dell’Alfetta, che in questa versione risulta anche meglio insonorizzata. Esteticamente la 2000 è caratterizzata dal frontale basso e allungato, con un’inedita calandra nera e squadrata, circondata da fari rettangolari. I paraurti anteriori, con inserti in plastica così come i posteriori, ospitano ora i soli indicatori di direzione. Vista di lato l’Alfetta 2000 si riconosce subito per le nuove portiere anteriori, prive di deflettori, le inedite maniglie esterne e le prese d’aria in plastica nera sui montanti posteriori; posteriormente invece predominano i nuovi gruppi ottici, più grandi dei precedenti.
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Nell’abitacolo sono stati oggetto di modifiche la plancia, la console centrale, il cassetto portaoggetti, il volante, i sedili. Sono disponibili nuovi colori di carrozzeria e migliora la dotazione di accessori: ora sono di serie il lunotto termico, i poggiatesta anteriori ed il temporizzatore del tergicristallo; sono invece disponibili a richiesta i cerchi in lega, la vernice metallizzata ed il condizionatore d’aria. La capacità del serbatoio carburante raggiunge i 49 litri, mentre il motore è ora garantito per due anni o 100.000 Km. Un anno più tardi, nel Luglio del 1978, debutta l’Alfetta 2000 Lusso, che di fatto sostituisce la 2000, da cui si distingue per alcuni dettagli esterni (specchietto retrovisore nero, modanatura sottoporta più estesa) ed interni (plancia e strumentazione con inserti in finta radica, nuovi colori delle plastiche, nuovo sistema di climatizzazione, sedili e pannelli delle portiere in velluto). La modifica più interessante riguarda tuttavia il motore che, grazie al differente profilo degli alberi a camme, raggiunge la potenza massima di 130 CV a 5400 giri/minuto e la coppia massima di 177,5 Nm a 4000 giri/minuto; la velocità massima sfiora i 190 Km/h. Nel 1979 è l’ora dell’aggiornamento delle versioni 1600 e 1800, che adottano le stesse portiere della 2000, hanno di serie le cinture di sicurezza anteriori e le luci d’emergenza e possono essere dotate di condizionatore d’aria. Il motore della 1800 guadagna 4 CV e torna a vantare una potenza massima di 122 CV, anche se la velocità massima risulta ridotta a 179 Km/h.Passata la crisi, ormai sensibili al problema dei consumi, gli italiani si dimostrano sempre più interessati all’acquisto di vetture diesel, grazie al basso prezzo del gasolio ed al basso consumo dei motori diesel, il tutto nonostante l’iniquo superbollo che nel nostro paese colpisce questo genere di vetture. Dopo la deludente esperienza condotta nel 1977 con la Giulia Diesel, l’Alfa Romeo ci riprova e stavolta fa le cose in grande, presentando l’Alfetta 2000 TurboD, la prima vettura italiana con motorizzazione diesel sovralimentata. Mossa dal motore di 1995 cc con potenza massima di 82 CV a 4300 giri/minuto, prodotto dalla VM di Cento (FE), l’Alfetta turbodiesel raggiunge la velocità massima di 155 Km/h e consuma mediamente 8,4 litri/100 Km. La turbodiesel ha la stessa carrozzeria della 2000, da cui si distingue per le grandi feritoie orizzontali sul paraurti anteriore ed il tubo di scarico maggiorato; nel cruscotto cambiano le scale di tachimetro e contagiri e compaiono la spia per il preriscaldamento delle candelette e la spia della pressione di sovralimentazione. L’Alfetta a gasolio si comporta su strada come una vettura a benzina di media cilindrata, facendo dimenticare i problemi di rumorosità del motore diesel ed il classico ritardo di risposta dei motori turbocompressi; i consumi sono davvero contenuti e l’irrigidimento delle sospensioni, resosi necessario per contrastare l’aumento di peso, ha migliorato la tenuta di strada. Nel 1981 debutta la 2000 LI America, con motore due litri da 128 CV ad iniezione meccanica e recupero dei vapori della benzina, associato ad un cambio manuale a cinque marce o ad un automatico a tre rapporti. La 2000 LI America è una versione speciale, meno di 1500 esemplari prodotti, realizzata per il mercato italiano e basata sulla “Sport Sedan”, denominazione data negli USA alla seconda serie del’Alfetta. Si caratterizza esternamente per i paraurti maggiorati, i doppi proiettori anteriori, le luci di posizione sulle fiancate anteriori, le fasce paracolpi laterali, i cerchi in lega.A fine anno l’Alfetta è sottoposta ad un restyling, che finalmente permette di unificare stilisticamente l’intera gamma. Tra le principali novità estetiche dell’Alfetta ‘82 ricordiamo il portatarga nero inserito tra i gruppi ottici posteriori, le fasce paracolpi sulle fiancate e sottoporta, le coppe ruota nere, gli indicatori di direzione laterali arretrati e l’antenna radio incorporata nel parabrezza; nell’abitacolo fa bella mostra di sé il volante della GTV. La 2000 si differenzia dalle altre versioni per la calandra color alluminio opaco e per l’adozione di lavatergifari, retrovisore esterno a comando elettrico, cinture di sicurezza e poggiatesta posteriori, vetri elettrici anteriori, pomello cambio e volante in legno, inserti in legno sulla strumentazione e sulla plancia. Tutte le versioni a benzina adottano l’accensione elettronica ed il cambio a cinque marce è caratterizzato da rapporti più lunghi: la 1600 raggiunge ora la velocità massima di 174 Km/h ed accelera da 0 a 100 Km/h in 10,3 secondi, mentre la 2000 raggiunge la velocità massima di 184 Km/h ed accelera da 0 a 100 Km/h in 8,3 secondi.Sei mesi più tardi, nel Giugno del 1982, la gamma si arricchisce di una nuova versione, la Quadrifoglio Oro, mossa dal motore 2000 ad iniezione meccanica della 2000 LI America. A caratterizzarla esternamente ci pensano i doppi proiettori anteriori, gli inediti cerchi in lega, alcuni particolari di color marrone scuro, come la fascia sottoporta, i paraurti, la calandra, le cornici dei fari posteriori. La dotazione di serie è arricchita dall’adozione di check control, regolazione elettrica degli schienali anteriori e dell’altezza del sedile guida, vetri elettrici posteriori, chiusura centralizzata e trip computer. La Quadrifoglio Oro raggiunge la velocità massima di 185 Km/h e consuma mediamente 10,1 litri/100 Km.
Nello stesso anno, dopo intensi test su strada condotti con la collaborazione di venti tassisti milanesi, debutta l’Alfetta CEM (Controllo Elettronico Motore). Commercializzata in serie limitatissima, è stilisticamente uguale alla Quadrifoglio Oro, ma se ne differenzia profondamente nella meccanica, per l’adozione di un sofisticato impianto d’iniezione elettronica, con iniettori particolarmente compatti ed efficienti, e soprattutto per il funzionamento modulare del motore, che in condizioni di scarsa richiesta di potenza (come ad esempio quando si è in coda nel traffico cittadino), è in grado di funzionare a due anziché quattro cilindri, riducendo il consumo di benzina.

Nel Maggio del 1983 l’Alfetta conosce l’ultimo restyling della propria carriera, in occasione del quale vengono commercializzate la 2000 Quadrifoglio Oro iniezione elettronica e la 2400 Turbodiesel.
La nuova Quadrifoglio Oro adotta un sofisticato impianto di iniezione elettronica Bosch Motronic, e soprattutto è la prima berlina di serie al mondo ad adottare il variatore di fase: la potenza massima raggiunge i 130 CV a 5400 giri/minuto e la coppia massima i 182 Nm a 4000 giri/minuto; il consumo medio è di 8,6 litri/100 Km, un valore notevole per un motore a benzina di questa fascia di mercato.
La 2400 Turbodiesel monta infine un inedito motore, prodotto ancora dalla VM, di 2393 cc, con potenza massima di 95 CV a 4200 giri/minuto; la velocità massima è di 165 Km/h, a fronte di un consumo medio di 8,1 litri/100 Km.
Esternamente l’Alfetta ’83 si distingue dalle precedenti versioni per l’adozione di vari particolari in plastica nera, che ne appesantiscono ulteriormente la linea, come il fascione che integra i gruppi ottici posteriori, le fasce paracolpi laterali e sottoporta, lo spoiler anteriore, la calandra con scudo Alfa più piccolo e stilizzato; nel baule posteriore lo stemma Alfa Romeo è stato spostato in posizione verticale. La Quadrifoglio Oro mantiene la vecchia calandra e si caratterizza dalle altre versioni per i doppi proiettori anteriori, i cerchi in lega ed i fendinebbia. Nell’abitacolo è stata modificata la plancia, sormontata da un grande blocco che contiene strumenti e spie; tutte le versioni hanno ora di serie il check control, i vetri elettrici anteriori, la chiusura centralizzata, i sedili posteriori con poggiatesta incorporati.

Nell’autunno del 1984, al Salone di Torino, debutta l’Alfa 90, sfortunata erede dell’Alfetta (sarà prodotta per soli tre anni, fino alla nascita dell’Alfa 164), che esce definitivamente dai listini nel Marzo del 1985, dopo tredici anni di onorata carriera. Tredici anni in cui è stata l’oggetto del desiderio della media ed alta borghesia italiana, l’auto di professionisti, imprenditori, politici e delle nostre forze dell’ordine. Si dice sia stata l’auto più innovativa dell’Alfa Romeo nel dopoguerra, di certo è stata per anni la 2000 più venduta in Italia e non è un caso se ancora oggi in tanti continuano ad apprezzarla ed a guidarla con piacere.
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solo avendone avute 3 mi sono accorto cosa mi perdevo!!!!
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A me sinceramente piacerebbe recuperare una 2.4 turbodiesel VM ultima serie ma ormai sono più uniche che rare e chi le possiede non le vende manco a pagarle oro!
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Vecchio 04-08-2009, 16.41.38
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Io prenderei la 2000
la prima con i fari quadrati
la più disprezzata per la rottura di stile con lo stile precedente
mi fa impazzire!
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